“Lettere a Francesca”, qualche riflessione.

Pubblicato il:

Sono veramente contento dell’esito della manifestazione nel corso della quale è stato presentato il libro “Lettere a Francesca” che raccoglie le lettere inviate da Enzo Tortora alla compagna, Francesca Scopelliti, durante il periodo in cui fu sottoposto a quell’incredibile processo da cui venne poi assolto.

Il libro, per la verità, si presenta da sé, visto lo spaccato di vita vissuta che contiene; e vista anche la riepilogazione di tutti gli avvenimenti che diedero vita a quella vicenda. Non riferiti solo al rapporto tra Enzo Tortora e la compagna, ma anche all’atteggiamento della opinione pubblica rispetto a quella vicenda.

Ebbene, il dibattito che ne è seguito ci ha enormemente arricchiti.

Non solo per le narrazioni della stessa Francesca Scopelliti che ha rievocato le vicende che diedero vita alla pubblicazione del libro, e soprattutto la vicenda umana vissuta dal povero Enzo Tortora.

Non solo per il contributo del Prof. Antonino Romeo che ha descritto in maniera encomiabile i contenuti del libro e lo spaccato di umanità che si percepisce non appena ci si approcci alla lettura dello stesso.

Ma anche per il contributo dei colleghi Carlo Morace e Gianpaolo Catanzariti.

L’intervento del “tecnici” (compreso il sottoscritto), infatti, si è mosso dalla vicenda Tortora per operare una valutazione generale sulle anomalie del processo penale che rischiano di compromettere la correttezza dell’esito dell’accertamento che avviene nel necessario contraddittorio tra le parti:

a) la disciplina dei meccanismi di recepimento delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia;

b) il collateralismo tra il processo e la resocontazione che avviene negli organi di stampa con la diffusione, spesso non conforme alla realtà processuale, delle notizie che rischia di compromettere la serenità del giudizio determinando così degli esiti che sono viziati;

c) l‘atteggiamento della opinione pubblica rispetto al processo che appare di certo sviata visto che spesso ci si lascia condizionare da impressioni del tutto generiche per esprimere giudizi su una materia che non si conosce e che peraltro non si potrebbe conoscere visto che ciò comporta delle cognizioni tecniche che non tutti  potrebbero avere.

Ebbene, riflettendo su quella vicenda non può non rimanere un senso di amarezza: quella vicenda si ebbe a verificare trent’anni addietro e unanimemente viene additata quale esempio di cattiva amministrazione della giustizia.

Ma non pare che dalla stessa si sia tratto alcun insegnamento di sorta: le vicende odierne ci confermano che vi è una pressoché pedissequa metodica di ripetizione degli errori che tutti hanno unanimemente denunciato ma che altrettanto tutti continuano a commettere.

Un sentito ringraziamento alla associazione Anassilaos ed al suo presidente, Stefano Iorfida, per averci consentito di riflettere su un tema così delicato.


  • Condividi